Già nella fase più dura del primo lockdown è stato evidente che, se esiste un modo i business più tradizionali e fisici di uscire vivi dalla crisi, questo si chiama digitalizzazione. Non che non fosse già fortemente consigliato pre Covid attuare un percorso tecnologico: oggi però non è più rimandabile.

E le imprese hanno due strade per attuarlo: o creando innovazione al loro interno oppure attingendola dall’esterno, inglobando o alleandosi con una startup che dell’innovazione fa il suo mestiere. Quale sia la strada preferibile lo suggeriscono i fatti. Come quello che, nel corso della scorsa primavera – in pieno boom del distanziamento sociale – da remoto si sono chiusi in fretta e furia deal importanti in questo ambito: Poste, Campari, Eni hanno investito in un breve lasso di tempo 50 milioni per portarsi a casa una quota di Milkman, che gestisce le consegne dell’ultimo miglio con un sistema su misura per il destinatario; Tannico, portale di vendita online di alcolici; e Tate, che vende elettricità e gas online.

E se anche colossi come quelli citati trovano più conveniente approvvigionarsi di innovazione da una startup, è evidente che questa via sia la più valida anche per le pmi. Che non hanno la potenza di fuoco per comprare società intere, ma possono fare alleanze e avvalersi di servizi innovativi nati apposta per loro. Non è un caso che stiano nascendo decine di idee utili ad abilitare questa transizione in chiave digitale per le pmi. Anche a livello istituzionale come dimostra il recente accordo siglato da Ice con Alibaba per dotare le nostre aziende anche più piccole italiane di una super vetrina virtuale a buon mercato attraverso cui esercitare, rigorosamente online, il commercio btob con il mondo.
Più in piccolo ad abilitare ecommerce e digitalizzazione in generale ci pensano una serie di startup appena nate e tutte made in Italy.
“Le startup possono essere oggi il principale abilitatore della transizione digitale delle PMI, per la portata innovativa e tecnologica delle loro soluzioni e per la maggiore capacità di adattamento a un contesto in rapido cambiamento, accelerato dalla pandemia da Covid-19”, dice a We Wealth Luigi Capello, ceo di LVenture Group. “Basti pensare all’e-commerce, cresciuto in quest’anno del 26% e oggi imprescindibile anche per le piccole e medie imprese, alla necessità di soluzioni di pagamento digitale, alla trasformazione del turismo grazie alle tecnologie contactless o di settori tradizionali. Un esempio molto interessante è rappresentato dalla Germania, dove più del 50% delle PMI ha programmi di investimento in startup e Venture Capital. La ripartenza di una parte fondamentale del tessuto imprenditoriale italiano siamo convinti passi dalle startup”. Tra le startup che lo stesso LVenture Group ha accelerato negli ultimi mesi spiccano per esempio EdilGo, un software di e-procurement per l’industria delle costruzioni che mette in contatto i fornitori con le imprese edili e utilizza l’intelligenza artificiale per automatizzare e standardizzare il processo di acquisto, in un settore di importanza strategica per l’economia italiana e tuttavia molto arretrato sul fronte della tecnologia. Ogni aspetto della gestione può essere digitalizzato, anche la comunicazione social: lo fa Saally, che sempre attraverso l’intelligenza artificiale, consente alle attività locali di crescere su Facebook e di acquisire e incrementare in maniera rapida i propri clienti, grazie alla pubblicazione automatica di contenuti efficaci sulla propria pagina. Pinv, invece, è un software gestionale che permette alle PMI di conoscere in tempo reale i flussi di cassa, gestire gli incassi e i pagamenti e richiedere finanziamenti direttamente dalla piattaforma, collegando tutti i conti bancari e integrando i dati di fatturazione.
Fuori dall’acceleratore, una diversa soluzione per la contabilità (ma che si estende anche alla gestione del personale) è F2d, spin off tecnologico di F2A, azienda italiana nel panorama dell’outsourcing delle due funzioni aziendale. “Si tratta di una digital-platform, in puro stile e-commerce che permette a pmi e stratup di acquistare online servizi in outsourcing per la gestione dell’impresa in un settore sino a ora prettamente offline – secondo il ceo Raul Mattaboni – Avere un solo interlocutore che garantisce servizi vantaggiosi senza rinunciare all’efficienza operativa, alla qualità e alla competenza consente, infatti, di risparmiare tempo prezioso da dedicare alle attività definite mission critical”.
Algoritmi e machine learning sono le parole magiche dietro a tutte queste idee. Che si concretizzano anche in modelli verticali, come quello presentato da Unyli, per digitalizzare i punti vendita fisici del settore underwear, riconvertendo gli store in veri e propri e-commerce e delivery, in un settore che produce un giro d’affari di 4,5 miliardi di euro, ma i cui punti vendita per il 90% non sono informatizzati. L’obiettivo finale è tutelare il patrimonio di clientela fidelizzata negli anni con innesti tecnologici necessari alla sopravvivenza dei punti vendita, soprattutto nell’attuale contesto di emergenza. Gli utenti potranno provare “virtualmente” tutti i capi presenti nei punti vendita per poter acquistare la taglia perfetta anche da casa, ma la digitalizzazione si estenderà anche ai magazzini (la cui gestione analogica generano rimanenze che mediamente, pesano in valore 1,6 volte i ricavi lordi annui). “L’obiettivo è rimettere in moto un’economia attualmente sospesa tra la paralisi del presente e l’incertezza del domani, e l’economia non può che ripartire anche dalla creazione di reti che valorizzino i negozianti locali. In questi mesi di studio e analisi, abbiamo intercettato le criticità e le esigenze di mercato ancora non soddisfatte e individuato il nostro posizionamento”, spiega il founder Francesco De Paolo, General Manager di Retail Capital, il marketplace che lancia l’idea. Si tratta solo di esempi e l’elenco potrebbe continuare riempiendo pagine e pagine, in quello che è tuttora un Oceano blu, un mercato ancora inesplorato.